venerdì 18 dicembre 2009

Il grande bluff, quando la marmellata di ciliegie macchia il viso di Berlusconi, ma non la camicia.

Devo dire la verità: un po’ ho esultato, domenica sera, quando un amico mi ha comunicato che qualcuno aveva spaccato la faccia a Berlusconi. Avevamo bicchieri di vino in mano. Abbiamo brindato, alla sua faccia.

Dopo solo cinque minuti, avevo già dimenticato tutto. Mi era passata la tensione, l’eccitazione dell’attentato. Sono tornato a suonare e cantare con i miei amici. Non ne abbiamo neanche parlato più. Forse, inconsciamente, stavo già sviluppando l’ipotesi del falso. Ed il fatto, in quanto falso, non mi stimolava già più.
Oggi ne sono quasi sicuro: l’aggressione a Berlusconi da parte di un certo Tartaglia è un gigantesco bluff. Non è una notizia. E’ una mia opinione. E’ però anche l’opinione di tanti..

http://radiofrance-blogs.com/eric-valmir/

http://metilparaben.blogspot.com/2009/12/berlusconi-aggredito-qualcuno-dice-che.html

http://civati.splinder.com/post/21894242#21894242

http://www.youtube.com/watch?v=wUhVUBuj5RI&feature=related

http://aceontheriver.splinder.com/post/21879844/L%27aggressione+a+Berlusconi+%C3%A8

http://eretici.blogspot.com/2009/12/berlusconi-aggressione-vera-o-tutta-una.html

Tralascerò l’analisi di molte osservazioni fatte dai diversi blogger che ho postato qui su, invitandovi a leggervele tutte con calma, per soffermarmi solo su un punto e su una foto (tratta da Repubblica:

Adesso non so se a qualcuno di voi è mai capitato di vedere qualcuno a cui è stato rotto il naso, a cui sono stati spaccati i denti, a cui è stato sfregiato, ammaccato il volto. Non so se è capitato a voi stessi di farvi male e di perdere sangue. A me si. E posso dire che in nessuno di questi casi ho avuto l’impressione che anziché sangue dalle ferite fuoriuscisse marmellata di ciliegie. Quella stessa marmellata rossa e densa che invece sembra materializzarsi per magia sul viso di Berlusconi una volta entrato in macchina. Io so solo che quando nel naso si rompe anche solo una venuzza il sangue COLA, COLA, COLA. In un flusso che almeno per 5 minuti non si può arrestare. Bisogna piegare la testa indietro, mettere i fazzoletti nelle narici, pregare i santi. E bisogna soprattutto rassegnarsi ad imbrattarsi bocca, mento, mani, giacca, camicia. Inoltre, anche i tagli sulle labbra e sul viso sono noti per essere vere fontanelle di sangue che non si coagula così velocemente. Niente di tutto ciò succede a Berlusconi, che nonostante si dice abbia il naso rotto non perde neanche una goccia di sangue dalle narici, e che ha sul viso, dopo un minuto dall’aggressione, il sangue ben coagulato in inverosimili goccioloni che sembrano spruzzati alla rinfusa sul suo viso. La tesi dello spruzzo è avvalorata dal fotogramma pubblicato più in alto (la cui attendibilità ci viene dal fatto che è stata pubblicata su un giornale dell'importanza di Repubblica) che mostra una mano con un aggeggio metallico rivolto proprio verso il viso di Berlusconi sporco di sangue. Fossi un bambino di 5 anni, mi giocherei l'album delle figurine che si tratta di uno spruzzatore di sangue professionale di quelli che utilizzano nelle soap di canale 5.

Io spero sinceramente che la mia paura venga presto sfatata, ma nello stesso tempo devo dire che credo profondamente nella possibilità che un personaggio come Berlusconi, con lo staff ed i mezzi che ha a disposizione, ha di organizzare una messa in scena del genere. Come qualcuno dice, c’è troppa gente lì intorno, e se la montatura c’è, prima o poi verrà fuori. Prima o poi qualcuno parlerà. Spero prima, e non tra qualche anno, quando magari potremmo perfino riderci su.

Giovanni Semeraro


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mercoledì 16 dicembre 2009

Non parliamo di Berlusconi.

Son passati tre giorni dallo sfortunato evento che ha colpito (è il caso di dirlo) il Presidente del Consiglio e fare il punto sulle questioni dimenticate è importante.
Procediamo per elenco (U.Eco ci ha scritto un libro su "La Vertigine della lista")

-Questione Alitalia. Ve la ricordate? E' quella compagnia che qualche mese fa era in fallimento, quella compagnia che ha licenziato piu di 17000 persone. Quella che ha fatto lo spot con Raul Bova vinto (senza gara) da un'agenzia di comunicazione chissà in che modo...
Bene, com'è finita la questione? I Tg non ne parlano più eppure non si parlava d'altro: "se non lo vedo non esiste".
Non va bene!, uomini e donne hanno subito una grossa ingiustizia ma noi ci occupiamo solo del pezzo (d)uomo.
Torniamo ad occuparci di noi e come dice uno slogan dei manifestanti Alitalia "oggi a noi domani a voi".
E infatti...

- Licenziamenti da Fiat,
- Licenziamenti da Poste Italiane
- Licenziamenti (anche se la Gelmini non vuole chiamarli cosi) nelle scuole: ci sono insegnati, supplenti costretti al lavoro in nero dentro le proprie case: dare ripetizioni per dare continuità agli studenti che vedono ogni anno (o sei mesi) cambiare il proprio insegnante.
...per non parlare delle università.
- Ferrovie dello Stato che pur di non rimborsare i biglietti per i ritardi alza i livelli di orario-rimborso (oltre i 60 minuti... senza distinzione per l'alta velocità)
- Bankitalia che afferma che le famiglie italiane sono sempre più povere
- I beni confiscati alle mafie, il Governo ha deciso che torneranno alle mafie.

e questo solo per assaggio...

Tutto questo lo subiremo noi, ragazzi e ragazze della "nuova generazione", 25-30-35 anni.
Dimentichiamo troppo spesso che i leader oggi presenti hanno in media 60 anni (alcuni piu di 70) e presto andranno via lasciandoci in eredità un'Italia monca, malmessa, in coma irreversibile.
Non possiamo far finta di nulla, non possiamo far finta che "è colpa loro". Ci siamo noi e ci sono loro, e noi siamo quelli che votano loro.

Pensiamoci.

A.Semeraro

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venerdì 4 dicembre 2009

La Francia e l'Identità nazionale

E' curioso notare come coloro che si interrogano più spesso sulla propria identità nazionale/locale siano quelli che l'hanno già persa da un pezzo, dai "padani" di Bossi agli austriaci di Haider. In Francia il dibattito in questo periodo è apertissimo, e, come sempre, a venir fuori è sempre il peggio. Anche se, come sempre, dal peggio qualche cosa di vero la si può tirar fuori.

Sul sito del ministero dell'immigrazione francese è comparso da qualche giorno questo blog, che mira a raccogliere i pareri dei francesi su cosa significhi per loro "essere francesi", ed oggi "Le Monde" pubblica alcuni dei post più scottanti. Tra cui:

"La Francia è divenuta una colonia africana in modo irrimediabile"

"In passato la Francia aveva delle colonie, ora è colonizzata"

"Nessun francese ha chiesto di essere invaso di stranieri"

"Essere francesi significa essere nati in Francia, da genitori francesi anch'essi nati in Francia".

"Come si può definirsi francesi e volersi far seppellire nel proprio paese d'origine?"

Insomma, opinioni un po' dure, ma che per chi ha vissuto per un po' nella zona parigina o in città come Marsiglia possono contenere dei nuclei di verità.

E' vero, per esempio, che alcune città della periferia Parigina sono ormai diventate delle vere "colonie" africane, con tanto di sub-identità nazionale, nel senso che si ritrovano immigrati provenienti dallo stesso paese d'origine, che vanno a formare una sorta di nazione nella nazione. In zone come queste, è facile che il razzismo sia "al contrario". Un bianco diventa praticamente invisibile o malvisto agli occhi della comunità. Se una ragazza bianca si mette con un "black", la famiglia di lui la prende come un offesa, avendo già promesso in tenera età il proprio pargolo ad una donna proveniente dallo stesso villaggio d'origine, e spesso residente ancora in Africa. Ho constatato con mano come l'integrazione sia davvero molto lontana dal compiersi, e si riduca spesso al solo diritto di scolarizzazione e di riscossione di (abbondanti) aiuti statali per disoccupati e indigenti.

Ciò che non sopportano i francesi, insomma, è a mio parere che molti immigrati chiedano di diventare francesi solo per aver diritto ad aiuti statali, svolgendo invece una vita pubblica e privata che di francese ha ben poco, essendo ancora saldamente legata ad usi, costumi, religione propri dei loro paesi d'origine. E che spessissimo sono in netto contrasto con lo spirito di laicità, libertà e uguaglianza tanto cari da sempre (o meglio, dalla rivoluzione in poi) ai francesi.

E' vero anche però, che se i francesi oggi possono sentirsi liberi o moderni, è anche grazie alle enormi ricchezze ereditate da una lunghissima storia coloniale terminata solo da pochi anni. E grazie anche ai milioni di lavoratori stranieri (tra cui italiani, portoghesi, magrebini, africani) che a partire da fine '800 la Francia l'hanno costruita, letteralmente, fisicamente, artisticamente, arricchendola con le loro mille culture, le loro mille tradizioni, le loro mille idee.

Detto questo, la mia non vuol'essere una critica verso un'immigrazione che non sa adattarsi allo spirito ed ai valori francesi del ventunesimo secolo. Trovo invece assurdo cercare, alle soglie del 2010, uno spirito di "identità nazionale" che fa parte a mio parere ormai di una vecchia concezione di stato, di nazione. Soprattutto per un paese, come la Francia, che da tempo ha accettato una visione ed un'organizzazione di vita cosmopolita, metropolitana, moderna.

In Italia, siamo messi forse anche peggio, visto che molti di noi italiani stiamo rivendicando delle micro-identità regionali, che ci allontanano ancora di più da una concezione del mondo come apertura, come movimento di uomini e di idee.

Giovanni Semeraro


mercoledì 2 dicembre 2009

Non ho i soldi del biglietto

Voglio riportare una lettera scritta su L'Unità oggi di Francesca Fornario.
Credo sia il riassunto perfetto di tutto quel che è successo nel mese di Novembre e non ha bisogno di altre parole.


"Figlio mio, hai finito l’università, sei stato bravo, per questo ti parlo con amarezza.
Non andare all’estero.
Resta in Italia, dove ci sono così tanti nuovi filoni d’inchiesta che Alfano ha dovuto rivedere le stime del Processo Breve: bloccherà il 9 per cento dei processi, perché l’uno per cento non era abbastanza per mettere al riparo Berlusconi. Resta qui dove la Lega vuole mettere la croce sul tricolore, tranne Bossi che preferisce mettere il tricolore sulla croce. Resta qui dove i tg omettono
la notizia dei pentiti che inguaiano Berlusconi perché il Governo ha approvato il «Telegiornale Breve» (ora dura appena due conati di vomito). Resta in Italia dove per fare carriera devi vincere il concorso esterno in associazione mafiosa. Dove chi ci governa pensa solo a salvare Berlusconi dai processi (Bonaiuti non esce più la sera perché sta lavorando a unapozione per renderloinvisibile). Resta in Italia, dove Berlusconi affronta i problemi negandone l’esistenza:
«La crisi? Non c’è! La Mafia? Non c’è! La spaccatura nella maggioranza? Non c’è!» e teme gli avvisi di garanzia:
«Toc-toc! Houn avviso di garanzia per il signor Berlusconi», e lui: «Berlusconi? Non c’è!».
Resta qui, dove Berlusconi vuole strozzare chi ha scritto La Piovra perché non ci sono abbastanza
ruoli femminili. Resta con Berlusconi, che per fondare Forza Italia ha chiesto aiuto agli imprenditori sotto forma di spot a Mediaset e a D’Alema sotto forma di opposizione. Resta qui, con Livia Turco che spiega chenonandrà in piazza perché Berlusconi vuole trasformare tutto in un referendum contro di lui (furbo: conta sul fatto che con il Pd non si raggiunge mai il quorum).
Resta qui con Rosi Bindi che dice che se non fosse presidente del Pd andrebbe al No-B-Day. Mi piace Rosi Bindi. Se non fosse presidente del Pd la voterei. Resta qui dove c’è una tale crisi che gli unici che hanno lavoro sono gli avvocati di Berlusconi.
Figlio mio, so già che midirai: «Voglio andare all’estero», ma io ti dico resta: non ho i soldi del biglietto."

martedì 10 novembre 2009

Informazione per menti semplici... ovvero: per una nuova e assurda propaganda

Per molti versi ci siamo già piombati in una nuova dittatura. Ormai parlare di triste presagio, di oscura possibilità, di timori, è inutile. Ci siamo ricaduti e ci troviamo nel bel mezzo di una nuova, meschina, orrenda dittatura, fatta di proclama, di richiami all'ordine, di mangiacarte, di azzeccagarbugli. Di una propaganda che solo agli occhi dei proni al regime appare come informazione, e che solo ai - purtroppo troppo pochi - liberi pensatori appare come assolutamente ridicola, bizzarra, grottesca, come bizzarri e grotteschi appaiono i personaggi che se ne fanno portavoce. E come non pensare immediatamente a colui che maggiormente si è esposto a questo pericoloso gioco di regime, gioco che prevede una mente nascosta nei suoi palazzi a scrivere discorsi che poi saranno letti da un capo pelato e chino in prima serata televisiva. Come non pensare al povero Minzolini, che di certo sarà ricordato come il peggior direttore, giornalista e uomo che la storia e la preistoria d'Italia abbiano mai avuto.



L'ultimo suo editoriale è qualcosa di peggio che un cinegiornale di regime. E' la cronaca rivista e corretta da menti sopraffine ad uso e consumo di un popolino da cenette in famiglia che assorbe, assorbe, e digerisce insieme alla zuppa calda le tiepide frasette ben agghindate e mal biascicate da un omino magrolino che al posto della testa sembra avere un culetto tondo tondo di bambino. Per questo se vogliamo più credibile, meno insopportabile agli occhi della casalinga di Voghera che un Santoro spettinato e mal sbarbato, grosso e dal faccione sempre un po' corrucciato, sempre incazzato.
Il senso di impotenza che ho provato nel guardare quest'ultimo triste filmato, piccolo spaccato di vita quotidiana vissuto nel mio paese, dalla mia mamma intenta a preparare la focaccia, dai miei nonni seduti l'uno difronte all'altro a giocare a scopa con la televisione accesa, è indescrivibile. Da lontano poi (vivo in Francia) è ancora più deprimente. Davvero ho avuto la sensazione - che è la stessa credo che possono avere degli emigrati portoricani negli Stati Uniti - di provenire da un paese piccolo piccolo, retrogrado, povero, ignorante, gretto, in cui un signor nessuno può permettersi la sera di comparire in televisione e di dire "convincetevene, è come dico io. E basta". Il peggio che poteva capitare a noi italiani, come a tutti i poveracci di questo mondo, è di amare alla follia la nostra gente ed il nostro paese, arrivando ad abbassarsi ed accettare certi soprusi in nome di una convivenza tranquilla, pacata, come dire...civile (anche se ho dei dubbi sull'utilizzo di questo termine riguardo all'Italia ed agli italiani). E', purtroppo, anche quello che capita a me, che nonostante tutto non riesco a detestare il mio paese e che cerco di riconquistarlo al più presto. Ma qualcosa bisogna fare. Qualcosa che non siano solo intenzioni e parole...

Cronaca tragicomica della quasi-fine di un sogno...


I giornali francesi riportano la notizia del ritrovamento di gran parte del bottino rubato (insieme a tutto il furgone portavalori) nei giorni scorsi nei pressi di Lyon. Si suppone che il ladro sia il conducente stesso (supposizione tutta da verificare) del furgone portavalori, dato che è stato lui ad aver mollato i suoi due colleghi in mezzo alla strada fuggendo col furgone carico di più di 11 milioni di euro.
Sfortunatamente, il ladro è un francese e non un napoetano, ed invece di inviare il bottino chissà dove e chissà con quali mezzi, ha affittato un box sotto falso nome (almeno questo!) a pochi metri dal luogo del furto, ci ha lasciato 10 milioni, e poi è scappato, facendo trovare il furgone vuoto più o meno a 10 metri dal box, diciamo sulla rampa del garage.
Gli astuti poliziotti francesi ci hanno messo solo due o tre giorni per ritrovare il bottino!
La sua compagna - naturalmente scaricata a dovere a causa probabilmente dei progetti brasiliani di "Tony l'escamouteur" (Tony l'illusionista) - dice che non riesce a crederci che abbia fatto questo un uomo che non fumava e non beveva.

Ora è ricercato per furto, con l'aggravante della premeditazione, visto che prima di rubare aveva effettivamente pensato di rubare, e visto che il furto lo aveva davvero organizzato. Pensate che all'arrivo della polizia a casa sua ha trovato l'appartamento vuoto! Lui, stranamente non c'era, ed oltre alle sedie ed alle tende, s'era portato via anche le tre o quattro scatolette di paté che, da buon francese, sicuramente aveva nel frigo.

La natura ci sta chiedendo il conto

Il terremoto, le frane in calabria ed in sicilia, gli allagamenti di questi giorni:
la natura ci sta chiedendo il conto.

mercoledì 4 novembre 2009

L'Italia e l'incredibile paura del comunismo


In Italia si grida (ormai da anni) al comunismo con terrore, come se gli italiani lo conoscessero. Come se l'avessero davvero subito. Come se fosse stato esso, invece del fascismo, a trascinarci tutti in un abisso della civiltà. Come se esso non fosse, in definitiva, semplicemente il sogno dell'uguaglianza tra gli uomini, della buona vita per tutti, di ...un uomo nuovo, libero, pensante. Quanta ignoranza, e quanta ipocrisia. Si grida “comunista!” come per insultare. Anzi: con l’intento esplicito di insultare, di additare come sovversivo, diverso, attaccabrighe, ribelle, rivoluzionario. Ma quali qualità ci sono nell’uomo veramente libero se non la ribellione, la diversità, la voglia di cambiamento, d’innovazione, appunto: di libertà. E’, in definitiva, come voler insultare qualcuno gridandogli addosso: uomo libero! Vergognati! Pensatore! Altruista! Tutti insulti, per l’Italia del 2009, in cui tutti sognano d’essere dei piccoli Berlsuconi...o almeno suoi piccoli insignificanti accoliti. E lasciamo perdere tutte le baggianate che si continuano a dire, prendendo come esempi di comunismo alcune realtà non certo felici in cui si è tentato di applicarlo, di metterlo in pratica, naturalmente senza successo. Il comunismo non esiste in pratica. E’ impensabile metterlo in pratica. Un ideale perde molto del suo valore e della sua purezza, se a metterlo in pratica sono gli uomini. Ed impensabile praticarlo soprattutto per uno stato come l’Italia, bigotto, campanilista, secessionista, camorrista. Il comunismo è un’utopia. Una meravigliosa utopia. Non si può insultare un utopia, che in fondo è un sogno. Non si può insultare un sogno. Non si può tirare giù, sul piano del reale, insabbiandolo, un sogno. Io sono comunista, in quanto sogno l’uguaglianza tra gli uomini, essendo pienamente cosciente dell’impossibilità di metterla in pratica. Può forse qualcuno insultarmi per questo? E’ più cristiano il mio comunismo che marxista, è più spirituale che economico, è più poetico che pratico:

« Or tutti coloro che credevano stavano insieme ed avevano ogni cosa in comune. E vendevano i poderi e i beni e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. E perseveravano con una sola mente tutti i giorni nel tempio e rompendo il pane di casa in casa, prendevano il cibo insieme con gioia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. »

(Atti degli Apostoli, 2,44-47)


E’ più vicino a questo, il mio ideale di comunismo...

Come si fa a svilire, ad insultare un ideale che si limita a reclamare tutto il bene del mondo per tutta l’umanità, senza alcuna distinzione, di alcun tipo? Insultare il comunismo significa insultare ed incutere il timore di qualcosa che nessuno conosce. E che fa paura, proprio in quanto sconosciuta. Perché nei sussidiari si studiano soltanto i crimini del comunismo? E non gli ideali che ne sono alla base, e che sono, bisogna ammetterlo, ben diversi dagli quelli di emarginazione, repulsione, repressione caratteristici di quasi tutte le dottrine destrorse degli ultimi secoli.

Chiamatemi comunista, e vi risponderò: sì, lo ammetto, sono libero. Tu chi sei?



Giovanni Semeraro

martedì 20 ottobre 2009

Air France sciopera per la sicurezza


E' una cosa della quale in Italia, quasi certamente, non sentiremo mai parlare. Da noi si sciopera per i licenziamenti, per le mancate assunzioni, per delle riforme un po' maldestre, per i mancati aumenti, per i termosifoni spenti. Mai sentito in vita mia che Trenitalia, Alitalia e compagnia bella abbiano deciso di scioperare per la SICUREZZA. La sicurezza: un valore talmente scontato che forse è l'unico vero motivo per cui valga la pena di scioperare. Un valore però, che nella nostra scala viene sempre dopo il guadagno, il posto fisso, la promozione ecc. ecc.
I piloti Air France, dal canto loro, decidono in questi giorni se indire uno sciopero che ha come motivazione la richiesta, non ancora completamente esaudita da parte della direzione di Airfrance, di sostituzione di tutte le sonde Pitot di rilevazione della velocità montate sugli Airbus A330 e A340. Le sonde Pitot sono state, per chi non ricorda, molto probabilmente la causa del disastro aereo del volo AF447 tra Brasile e Francia del 1 Giugno scorso. I piloti francesi reclamano inoltre una formazione adeguata per la gestione di eventuali problemi legati alle rilevazioni come quelli che hanno provocato il disastro di giugno, ed inoltre pretendono che vengano istituiti degli organi di controllo che facciano tesoro dei loro suggerimenti (scaturiti da piccoli problemi a bordo, incidenti, malfunzionamenti vari) per intervenire immediatamente sul perfezionamento degli apparecchi e delle procedure. I piloti hanno dunque paura che le sonde in questione ed una loro cattiva gestione possano provocare altri disastri del genere. La loro paura è fondata. Per questo minacciano lo sciopero (cosa di per sè già molto grave, dato che in Air France lo sciopero non è questione di tutti i giorni, come lo è invece per Alitalia).
Il dato preoccupante di tutta la faccenda è però un altro. Se i piloti di Air France - che è una delle più grandi ed efficienti compagnie aeree al mondo - nutrono dubbi sulla sicurezza di alcuni apparecchi in loro dotazione e sulla formazione atta a gestire correttamente gli stessi, non dovrebbero preoccuparsi delle stesse faccende anche altre grandi compagnie aeree nazionali che affrontano, con gli stessi modelli d'aereo caduto a Giugno, voli intercontinentali? L'Alitalia, ad esempio, conferma di aver già sostituito nel 2007 - in seguito ai suggerimenti arrivati da Airbus - le sonde sui propri velivoli, ma nel Luglio 2009 le autorità europee hanno inviato un comunicato ufficiale con il quale si esige la sostituzione di almeno 2 delle 3 sonde montate sugli Airbus, ache se recenti, con un modello americano: il Goodrich. Ho provato ad informarmi ma sul web nessuna notizia a riguardo. Noi purtroppo, da semplici passeggeri, possiamo soltanto, una volta a bordo, confidare nel Signore (o nella fortuna, o nella bravura del pilota). Non ci è dato purtroppo sapere quale tipo di sonda monta l'aereo sul quale siamo appena saliti. Ma mi auguro che almeno i piloti di grandi e piccole compagnie, italiane e non, prendano esempio dai colleghi francesi e minaccino il blocco nel caso le norme di sicurezza non siano ritenute sufficienti, per loro stessi e per gli utenti.

Giovanni Semeraro

Taranto, capitale della diossina

Noi pugliesi siamo gente semplice, umile. Non ci piace stare alla ribalta, dare spettacolo. Non siamo gente da record, lavoriamo in sordina. Un record però ce l'abbiamo, e, come consuetudine per noi meridionali, non può essere che un record NEGATIVO. Il nostro record riguarda la città di Taranto, che è in assoluto la città più inquinata dell'Europa occidentale (grazie a Dio in quella orientale c'è ancora Černobyl' che ci supera...), grazie alla presenza, nel suo territorio, dei giganteschi e postmoderni impianti dell'ILVA (industria siderurgica ex statale ora in mano alla famiglia Riva), oltre cha ad una buona dose di raffinerie, centrali elettriche ad idrocarburi ed altre industrie altamente inquinanti nate attorno questi due grandi poli. Se diamo un occhio ai dati, corriamo il rischio di trovarli a dir poco scioccanti: nel 2006 alcune rilevazioni hanno accertato che l'impianto ILVA di Taranto - che nel 2002 ha dovuto aumentare le proprie attività dopo la chiusura di alcuni reparti altamente inquinanti negli stabilimenti di Genova (come dire, se non possiamo a Genova, lo facciamo a Taranto!) - produce il 92% della diossina italiana e l'8,8 di quella europea! E se pensiamo che, scavalcate le mura della città, ci troviamo difronte ad un territorio costituito al 100% da campi agricoli, allevamenti, pascoli, vengono i brividi solo ad immaginare quello che noi pugliesi (ma niente paura, ce n'è anche per il resto d'italia, visto che più del 50% dei prodotti viene venduto al nord!) mettiamo ogni giorno nel piatto. Il risultato sono un numero di tumori molto più alto rispetto al resto d'italia (con molti casi di tumore in bambini a partire dai 13 anni), latte materno alla diossina, malattie respiratorie e dell'apparato digerente.
Purtroppo però il problema è complesso, ed il progetto di referendum per la chiusura totale o parziale degli impianti, che alcune associazioni cittadine portano avanti ormai da anni, si trova inevitabilmente a scontrarsi con una realtà che ormai è radicata nel territorio tarantino e che dà lavoro a decine di migliaia di persone. Confindustria, dal canto suo, non fa che peggiorare la situazione, polarizzando le posizioni e mettendo in definitiva chi lotta per vivere in una città pulita contro chi lotta per lavorare (e mangiare). In definitiva, per creare problemi ai pro-referendum, media e istituzioni stanno creando un vero scontro fra chi non vuole morire di fame e chi non vuole morire di cancro.
Magra consolazione è stata l'inaugurazione in luglio di alcuni impianti che dovrebbero ridurre (nel giro di qualche anno) del 50% le emissioni di diossina, anche se ad oggi molti di questi impianti restano solo promesse fatte a voce ed in qualche caso sulla carta. Si tratterebbe in ogni caso di misure volte a contrastare le emissioni sotto forma di fumi, e non le decine di altri problemi, ben più gravi, che la presenza di questi impianti porta all'ambiente ed in particolare al mare tarantino. Ma bastano pochi minuti di pazienza difronte a questi video per capire di cosa si tratta. Ci tengo a sottolineare che ciò che vedete succede difronte al più grande allevamento di cozze nere d'Italia, dal quale si approvvigionano almeno il 70% dei rivenditori nazionali. I video sono stati girati negli anni 90 dagli attivisti dell'associazione Caretta Caretta, obbligata a chiudere i battenti dopo le decine di minacce ed intimidazioni ricevute.







Attualmente la situazione è purtroppo questa: oltre alla diossina, è stata palesata dagli ambientalisti di Peacelink la possibilità che a Taranto, come e più rispetto a Gela, le industrie ed in particolare l'ILVA scarichino nell'ambiente pericolosi veleni e metalli pesanti (arsenico, piombo, mercurio) in grandi quantità, e che questi siano anzi già entrati nella catena alimentare con grave rischio per la salute umana.
Per quanto riguarda il controllo della diossina, è inutile dire che sono stati già riscontrati gravi ritardi nell'applicazione della legge regionale del 2008.
Insomma, la guerra tra chi non vuole morire di fame e chi non vuole morire di tumore è destinata a durare. Per ora a rimetterci sono entrambe le categorie, con l'inquinamento che soprattutto d'estate raggiunge livelli visibili ed insopportabili. Speriamo bene.

Giovanni Semeraro

lunedì 19 ottobre 2009

Brunetta sta con Mesiano, ma nessuno sta con lui


E' da qualche giorno ormai che il ministro Brunetta sembra rincorrere cronisti e giornalisti per rivendicare - senza che nessuno tra l'altro glielo abbia espressamente chiesto - il fatto (per lui obiettivamente un grande pregio) di essere "dalla parte di Mesiano". Sì, che noi ci crediamo o no, Brunetta prende le distanze dalla TV del Boss e si schiera dalla parte del povero giudice la cui vita privata è stata ultimamente calpestata da una squallida puntata di Mattino 5 che resterà negli annali della disinformazione italiana. Salvo poi mettere le mani avanti, ed aggiungere che «Io non ne ho ricevuta quando mi è successa la stessa cosa, con l'unica colpa di aver acquistato case con il mutuo».
Ora, ammesso che possa essere equiparata la pubblicazione di una foto della casa di Brunetta al pedinamento video, durante due giornate, di un funzionario dello stato nella sua vita privata, io mi chiedo che bisogno aveva Brunetta di rivendicare il "torto ricevuto" proprio mentre compiva l'onorevole (ed inconsueto per un personaggio come lui) gesto di mostrarsi solidale al giudice che ha condannato Berlusconi? Il fatto è che, oltre all'inevitabile caduta di stile (è troppo facile offrire la propria solidarietà pubblica a qualcuno, sfruttando il guadagno d'immagine per rivendicare i presupposti torti subiti), ci troviamo qui di fronte ad un tentativo, alquanto ingenuo, alquanto maldestro, di paragonare l'indecente servizio di Mattino 5 - che tenta attraverso un mix di immagini ed audio di rappresentare come "anormale" e "stravagante" il normalissimo train de vie del giudice che ha condannato, a nome del popolo italiano, Berlusconi - ad un'inchiesta dell'Espresso mirata a smascherare alcuni "abusi"
ai danni dello stato perpetrati dal ministro Brunetta per puri fini personali.
Se, per quanto riguarda il giudice Misiano, non è riscontrabile nell'anonimo servizio di Mattino 5 alcun tentativo di inchiesta, alcuna ipotesi valida a delegittimare il lavoro del giudice, che ha come unico torto quello di aver agito, per nome della legge ed in favore del popolo italiano, contro Berlusconi, notiamo come invece l'inchiesta dell'espresso indichi date, luoghi, nomi, cognomi, riproduca testimonianze, mappe, documenti originali, il tutto col fine di dimostrare che il ministro ha approfittato della sua influenza e del potere conferitogli dalla propria carica, per chiudere alcuni grandi affari che sarebbero stati impossibili da compiere per un cittadino qualunque, seppur "agiato" economicamente.
Emblematico è il caso della casa a Roma, acquistata dall'Inpdai ad un quinto del suo valore. O quello della lussuosa villa in costiera amalfitana, acquistata come rudere con terreno a 65.000€, quando ogni altro rudere dello stesso tipo in quella zona panoramica di euro ne costava almeno 400.000. E che dire delle parole della vecchia proprietaria di quel rudere, che dice all'Espresso che non avrebbe mai venduto la sua casa se il comune si fosse deciso, prima dell'arrivo di Brunetta, a farle passare vicino una strada? Strada che è stata iniziata dal comune subito dopo l'arrivo del ministro in costiera?
Insomma, un paragone insostenibile, da parte del ministro che chiede solidarietà ma che non perde occasione per sparare a zero contro le più disparate categorie di lavoratori italiani, dagli artisti, alle élite di sinistra, agli impiegati, e per di più malati.
Ancora un'occasione persa da parte di Brunetta, per dimostrarci il suo impegno in favore dell'efficienza e della giustizia. A noi sarebbe bastato un silenzio.


Giovanni Semeraro

domenica 11 ottobre 2009

Per un'arte rivoluzionaria?

A cosa serve l’arte?
E’ una domanda che forse non ci poniamo molto spesso, troppo concentrati nella fruizione dell’evento spettacolare, qualunque esso sia.
Ma dopo, una volta immagazzinati automaticamente tutti gli elementi necessari alla comprensione del fenomeno, cosa resta dentro di noi del messaggio che l’opera d’arte ha voluto trasmetterci?
Perché lo scambio fra artista e spettatore avvenga, almeno due condizioni si rendono necessarie:
1- Che l’artista, consapevolmente o inconsapevolmente, abbia un messaggio forte da inviare che non sia necessariamente tematico, ma anche solo stilistico, dal quale in ogni modo scaturiscano impulsi comunicativi.
2- Che il fruitore, dal suo canto, abbia le basi culturali per comprendere determinati aspetti dell’opera d’arte o che più semplicemente abbia maturato una sensibilità estetica tale da poterne beneficiare in modo personale.
Se uno dei due elementi viene a mancare, quello che si instaura nella relazione artista-spettatore è un rapporto di puro consumo che riversa il tutto in una sfera propriamente commerciale.

Come valutare allora la situazione italiana alla luce delle recenti dichiarazioni del “Ministro Brunetta” sulla gente che in Italia produce cultura e dell’atteggiamento che più in generale contraddistingue la politica italiana nei confronti del settore in questione? E’ risaputo che in ogni forma di governo di stampo dittatoriale, le prime avvisaglie di un tentativo di controllo diretto sulla popolazione si avvertono, tra l’altro, per mezzo di un intervento massiccio sulle due forme di comunicazione che per eccellenza riescono a raggiungere l’interlocutore in modo forte, diretto, tempestivo: i mass media e le forme di espressione artistica.
Ora, non serve che il primo arrivato faccia notare a tutti come, per quanto riguarda la questione dei mass media, la situazione sia giunta ormai ad un livello allarmante.
Prima d’ora infatti credo che nessun governo al mondo abbia potuto disporre della stessa quantità di mezzi di comunicazione di massa di cui l’attuale governo italiano dispone. Immaginiamo solo per un attimo cosa avrebbero potuto fare personaggi come Hitler o Mussolini se avessero disposto degli stessi mezzi di cui Berlusconi può servirsi oggi in tutta libertà. Abbiamo avuto modo di constatarlo recentemente con gli ultimi avvenimenti riguardanti Bruno Vespa e il suo Porta a Porta, lo spostamento di programmi di informazione sociale come Ballarò e la vicenda dei contratti per la trasmissione di Santoro, per non parlare ovviamente degli abusi di potere di Brunetta che utilizza i siti governativi come se fossero la lavagnetta del cesso di casa sua.
Per quanto riguarda l’arte invece, la questione è a mio parere molto più delicata. Non parlerò di questioni specificamente tecniche non essendo un esperto del settore ma mi limiterò ad esprimere opinioni derivanti da un’osservazione del fenomeno in generale.
Innanzitutto potremmo constatare come in Italia qualsiasi forma di espressione artistica sia immediatamente associata al mondo della sinistra intellettuale e non solo da parte dei diretti oppositori politici ma anche nella concezione della gente comune. Tale situazione contribuisce pesantemente a dissuadere di fatto l’avvicinamento di una parte della popolazione al mondo dell’arte.
In secondo luogo potremmo osservare come lo statuto di artista in Italia non sia sufficientemente riconosciuto, a meno che non si tratti di personaggi già molto noti al pubblico tramite la televisione o il grande teatro o in generale le grandi scene nazionali e internazionali.
Tutti sembrano aver dimenticato l’insegnamento dell’arte popolare, delle arti povere, degli artigiani, dei cantastorie, delle orchestrine, delle bande, dei guitti girovaghi, degli attori presi direttamente dalla strada, insomma di buona parte della storia del nostro paese che al ministro Brunetta e a buona parte della popolazione sembra sfuggire. L’artista viene spesso considerato un fannullone se non un barbone nel peggiore dei casi poiché si avverte una carenza di educazione al lavoro dell’artista, problema che può trovare una soluzione nell’incentivazione dei laboratori nelle scuole di ogni livello. Solo cimentandosi in attività artistiche di ogni tipo i bambini e i ragazzi possono prendere coscienza fin da subito del lavoro che comporta la creazione di uno spettacolo o la preparazione di un concerto e alimentare così una forma di rispetto per l’attività artistica.
Terza ed ultima questione: mancano il luoghi materiali in cui produrre arte, mancano le strutture necessarie al suo sviluppo, mancano i circuiti adatti alla fruizione da parte di un pubblico culturalmente e anagraficamente eterogeneo. In parole povere, manca tutto il necessario allo sviluppo di una sensibilità estetica diffusa, cosicché il poco che viene offerto non é, nella maggior parte dei casi, recepito come espressione artistica bensì come mero intrattenimento, al pari appunto di una trasmissione televisiva di varietà.
I bambini non hanno modo di avvicinarsi alle forme di espressione artistica se non tramite il mezzo passivo della televisione, con tutte le conseguenze che ne scaturiscono e che non stiamo qui ad elencare.
In parole povere, la perdita progressiva di un bagaglio artistico legato al territorio, l’appiattimento culturale, la morte dell’arte.
Quanti luoghi di proprietà comunale o statale restano chiusi e inutilizzati quando invece potrebbero prestarsi benissimo all’incentivazione di attività associative autogestite che sempre più spesso trovano difficoltà a trovare spazi adatti all’interno del tessuto urbano?

Ovviamente la colpa di tutto questo non è imputabile esclusivamente all’azione dell’ultimo governo; le responsabilità rimontano a molto tempo addietro. Ad oggi infatti nessuno sembra essersi preoccupato di tutelare la figura dell’artista in maniera attiva, incentivando lo sviluppo di enti autonomi (e soprattutto competenti) che si occupino di coordinare il settore proficuamente e senza sprechi di risorse. Lo stato si è sempre limitato invece a sovvenzionare passivamente settori come il cinema o il teatro - che avrebbero richiesto al contrario grande professionalità e competenza - tenendoli legati ad una flebo per decine di anni ad uno stadio larvale, riducendoli infine a malati terminali.
La situazione che scaturisce da queste osservazioni è sotto gli occhi di tutti: in Italia l’arte sembra essersi distaccata completamente da quel ruolo che fino a qualche tempo fa ha rivestito con cognizione di causa:
il cinema impegnato si è estinto progressivamente lasciando il posto a fiction televisive populiste e patriottiche, bigottamente religiose e a volte semi-pornografiche.
I cantautori che in passato si erano rivolti alle nuove generazioni in modo attivo, veicolando spesso messaggi sociali importanti, si sono docilmente adeguati alle leggi del nuovo mercato o sono completamente scomparsi con la crisi del disco lasciando il posto a bizzarri emuli svuotati di contenuti.

In termini pratici, si sta creando una situazione anomala all'interno della quale da una parte nessuno ha più voglia di dire davvero qualcosa e dall'altra nessuno ha più voglia di recepirla veramente.

L’attacco che il governo Berlusconi ha sferrato al mondo artistico nell’ultimo periodo non è altro dunque che il colpo di grazia ad una bestia già abbattuta e rantolante, un modo per sotterrare definitivamente l’ultimo probabile nemico, quella forza sovversiva che l’arte naturalmente racchiude in se, quella capacità di far riflettere creandosi ragionamenti autonomi che tanto spaventa il capo del nostro attuale governo.
L’arte è espressione popolare per eccellenza, ed il fatto che nell’ultimo periodo trovi sempre meno consenso a favore di altre forme d’intrattenimento passive e qualitativamente scadenti la dice lunga sulla stato di salute della nostra capacità critica ed estetica.

Si dice che l’arte è rivoluzionaria. Si dice che è dai momenti di crisi che scaturiscono le correnti artistiche più interessanti.
Quanto ancora dovremo aspettare?

Francesco Semeraro

giovedì 8 ottobre 2009

Ho paura



Sono un uomo. Abbastanza forte. Abbastanza onesto. Abbastanza ragionevole. Abbastanza coraggioso. Ma ho paura.
A farmi venire paura (tanta) non il lupo mannaro. Non un mostro sbucatomi dal cesso mentre ero, come dire, più indifeso... Non la morte, non il dolore. Non una catastrofe planetaria. Ma questo



E soprattutto questo:



Prendetevi il tempo di riflettere ora, in silenzio, ad occhi chiusi.
Avete mai visto qualcosa del genere nella vostra vita? Vi ricordate di un presidente del consiglio che si abbassi ad offendere il vicepresidente della camera (Rosi Bindi) e ad urlare in televisione le proprie (bassissime e personalissime) ragioni, avendo invece il parlamento come luogo naturale della parola e della democrazia? Avete mai sentito suggerire, chiaramente, da parte di un primo ministro al capo dello stato, di aggirare, scavalcare la costituzione per influire "direttamente" e "personalmente" su una scelta così importante come quella dei giudici costituzionali. Che riguardava una legge così importante, capace di spostare una democrazia verso una oligarchia, o peggio, una dittatura?
Ebbene no. Io in trent'anni non l'ho mai visto. E non l'hanno mai visto neanche i miei genitori, perchè nel '45 Mussolini era già morto.
Un attacco così duro alle istituzioni (nelle persone del presidente della repubblica, della corte costituzionale, della magistratura, del parlamento) se lo sognano i paesi realmente democratici.
Un attacco così duro alla libertà, alla morale, se lo sognano i popoli liberi.

Ed io ho paura

Perchè come dice De Gregori "la storia siamo noi". Ma il brutto è che nessuno se ne accorge "durante". La storia diventa storia solo dopo. E la storia ci insegna che sia il nazismo che il fascismo che tutti gli altri regimi dittatoriali nascono un po' così. Per caso.
Magari con un presidente che, forte solo dell'appoggio popolare (populismo) si crede di poter scavalcare le regole e le istituzioni che un paese si è dato per autogarantirsi la DEMOCRAZIA.
Magari con un presidente che comincia arricchendosi, con l'appoggio della mafia, evadendo tasse e processi. E che poi passa in politica per evitare problemi con la legge. E che poi comincia a dire d'essere perseguitato, per mettere i suoi elettori contro chi lo perseguita (le istituzioni, accusate d'essere tutte comuniste e di sinistra). E che poi, comincia a gridarlo in televisione, insultando dei parlamentari e pretendendo un comportamento mafioso perfino dal capo dello stato.

Ho paura

Ho paura che il mio prossimo rientro in Italia possa coincidere con un stagione dura per la democrazia. Perchè i giovani che si sono trovati in guerra nel '39 non si aspettavano certo che da un giorno all'altro sarebbero andati a morire al fronte. Perchè i giovani che hanno resistito non si aspettavano certo che da un giorno all'altro avrebbero fatto la guerra contro gente come loro. Italiani contro Italiani. Contro i propri vicini di casa. Contro i propri ex-amici. A volte, contro i propri parenti!

Perdonatemi, ma non accetterò più che qualcuno mi dica di essere berlusconiano. Stia lontano da me. Amici o parenti o sconosciuti. Non lo ammetto. Io la mia piccola resistenza comincio a farla. In casa mia.

Per paura.


Giovanni Semeraro

mercoledì 7 ottobre 2009

Sono malato: c'ho il certificato! ovvero sulle assenze del PD in parlamento...


"Sono stata insultata, la mia sedia a rotelle presa a calci in piazza Venezia da alcuni scalmanati che mi hanno preso di mira per l'assenza di venerdì. Ma io stavo male, avevo presentato il certificato, che a questo punto chiedo che venga reso pubblico"
Ileana Argentin, deputato pd, costretta sulla sedia a rotelle.

Sono un bel ventaglio, una rosa, una marea le considerazioni che si potrebbero fare su questa breve frase detta per giustificare qualcosa di MOLTO IMPORTANTE. E cioè l'approvazione di una legge che gli elettori del pd NON VOLEVANO. E che invece è passata, grazie all'assenza di questo e di un'altra buona cinquantina di deputati del PD.

Io mi limiterò a farne solo qualcuna, semplice semplice.

1) Prima di tutto, scopro che oltre i fascisti anche i sinistroidi pduisti, ah scusate PDisti, se la fanno a piazza Venezia.

2) Che gli unici 4 elettori e sostenitori del PD rimasti al mondo, tra un po' voteranno Berlusconi, se continueranno ad essere appellati "scalmanati".

3) Che se per entrare a fare l'appuntato dei carabinieri bisogna essere in perfetto stato psico-fisico, avere i denti dritti, la schiena dritta, le gambe dritte, e pagare 30.000€ al corrotto di turno, per fare il DEPUTATO DELLO STATO ITALIANO basta solo l'ultima, visto che abbiamo scoperto che nessuno di loro gode di ottima salute.
E qui mi viene una piccola considerazione. Se è vero che in parlamento c'è rappresentata tutta l'Italia, e che il giorno della votazione sullo scudo fiscale mancavano, "per malattia", un centinaio di deputati fra destrorsi e sinistrorsi, e che la statistica è una scienza e non un'opinione, questo significa che il 16,666667 % degli italiani quel giorno non è andato al lavoro, causa malattia.
Se vosse vero l'Italia sarebbe in ginocchio.
A livello parlamentare, è vero, l'Italia è in ginocchio.
Morale. il parlamento NON RAPPRESENTA gli italiani.

4) Una considerazione un po' più seria. Ma perchè, chi è in una situazione psico-fisica non ottimale, e non può dunque adempiere in pieno ai doveri, PESANTI, che il popolo gli affida mandandolo in parlamento, deve ostinarsi ad occupare una poltrona che invece potrebbe essere occupata in modo più fruttifero da qualcuno in grado di lavorare, di partecipare attivamente e pienamente alla vita istituzionale? La malattia, lo sappiamo, è una brutta bestia, per tutti. Ma se uno non può lavorare, dovrebbe avere accesso ad altre forme di sostegno che non sia il parlamento italiano!!

5) "Sono malato! C'ho il certificato!" Ma noooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo.
Ma davveroooooooooooooo! Perchè c'è ancora qualcuno che crede nel certificato! Ma se per il più umile degli impiegati della più umile azienda è un gioco da ragazzi farsi fare un certificato taroccato (e lo sanno tutti!) come facciamo a credere nel certificato di un parlamentare, di un politico, di un deputato, sigh, dello stato italiano!

Mi viene da ridere, e per questo mi fermo qua. Perchè le considerazioni che vengono potrebbero essere offensive. E la malattia è una cosa seria. Lo sanno milioni di italiani costretti in ospedali FATISCENTI, senza supporto medico, economico, psicologico.
Figuriamoci se ci facciamo fare la morale da un parlamentere.