martedì 20 ottobre 2009

Air France sciopera per la sicurezza


E' una cosa della quale in Italia, quasi certamente, non sentiremo mai parlare. Da noi si sciopera per i licenziamenti, per le mancate assunzioni, per delle riforme un po' maldestre, per i mancati aumenti, per i termosifoni spenti. Mai sentito in vita mia che Trenitalia, Alitalia e compagnia bella abbiano deciso di scioperare per la SICUREZZA. La sicurezza: un valore talmente scontato che forse è l'unico vero motivo per cui valga la pena di scioperare. Un valore però, che nella nostra scala viene sempre dopo il guadagno, il posto fisso, la promozione ecc. ecc.
I piloti Air France, dal canto loro, decidono in questi giorni se indire uno sciopero che ha come motivazione la richiesta, non ancora completamente esaudita da parte della direzione di Airfrance, di sostituzione di tutte le sonde Pitot di rilevazione della velocità montate sugli Airbus A330 e A340. Le sonde Pitot sono state, per chi non ricorda, molto probabilmente la causa del disastro aereo del volo AF447 tra Brasile e Francia del 1 Giugno scorso. I piloti francesi reclamano inoltre una formazione adeguata per la gestione di eventuali problemi legati alle rilevazioni come quelli che hanno provocato il disastro di giugno, ed inoltre pretendono che vengano istituiti degli organi di controllo che facciano tesoro dei loro suggerimenti (scaturiti da piccoli problemi a bordo, incidenti, malfunzionamenti vari) per intervenire immediatamente sul perfezionamento degli apparecchi e delle procedure. I piloti hanno dunque paura che le sonde in questione ed una loro cattiva gestione possano provocare altri disastri del genere. La loro paura è fondata. Per questo minacciano lo sciopero (cosa di per sè già molto grave, dato che in Air France lo sciopero non è questione di tutti i giorni, come lo è invece per Alitalia).
Il dato preoccupante di tutta la faccenda è però un altro. Se i piloti di Air France - che è una delle più grandi ed efficienti compagnie aeree al mondo - nutrono dubbi sulla sicurezza di alcuni apparecchi in loro dotazione e sulla formazione atta a gestire correttamente gli stessi, non dovrebbero preoccuparsi delle stesse faccende anche altre grandi compagnie aeree nazionali che affrontano, con gli stessi modelli d'aereo caduto a Giugno, voli intercontinentali? L'Alitalia, ad esempio, conferma di aver già sostituito nel 2007 - in seguito ai suggerimenti arrivati da Airbus - le sonde sui propri velivoli, ma nel Luglio 2009 le autorità europee hanno inviato un comunicato ufficiale con il quale si esige la sostituzione di almeno 2 delle 3 sonde montate sugli Airbus, ache se recenti, con un modello americano: il Goodrich. Ho provato ad informarmi ma sul web nessuna notizia a riguardo. Noi purtroppo, da semplici passeggeri, possiamo soltanto, una volta a bordo, confidare nel Signore (o nella fortuna, o nella bravura del pilota). Non ci è dato purtroppo sapere quale tipo di sonda monta l'aereo sul quale siamo appena saliti. Ma mi auguro che almeno i piloti di grandi e piccole compagnie, italiane e non, prendano esempio dai colleghi francesi e minaccino il blocco nel caso le norme di sicurezza non siano ritenute sufficienti, per loro stessi e per gli utenti.

Giovanni Semeraro

Taranto, capitale della diossina

Noi pugliesi siamo gente semplice, umile. Non ci piace stare alla ribalta, dare spettacolo. Non siamo gente da record, lavoriamo in sordina. Un record però ce l'abbiamo, e, come consuetudine per noi meridionali, non può essere che un record NEGATIVO. Il nostro record riguarda la città di Taranto, che è in assoluto la città più inquinata dell'Europa occidentale (grazie a Dio in quella orientale c'è ancora Černobyl' che ci supera...), grazie alla presenza, nel suo territorio, dei giganteschi e postmoderni impianti dell'ILVA (industria siderurgica ex statale ora in mano alla famiglia Riva), oltre cha ad una buona dose di raffinerie, centrali elettriche ad idrocarburi ed altre industrie altamente inquinanti nate attorno questi due grandi poli. Se diamo un occhio ai dati, corriamo il rischio di trovarli a dir poco scioccanti: nel 2006 alcune rilevazioni hanno accertato che l'impianto ILVA di Taranto - che nel 2002 ha dovuto aumentare le proprie attività dopo la chiusura di alcuni reparti altamente inquinanti negli stabilimenti di Genova (come dire, se non possiamo a Genova, lo facciamo a Taranto!) - produce il 92% della diossina italiana e l'8,8 di quella europea! E se pensiamo che, scavalcate le mura della città, ci troviamo difronte ad un territorio costituito al 100% da campi agricoli, allevamenti, pascoli, vengono i brividi solo ad immaginare quello che noi pugliesi (ma niente paura, ce n'è anche per il resto d'italia, visto che più del 50% dei prodotti viene venduto al nord!) mettiamo ogni giorno nel piatto. Il risultato sono un numero di tumori molto più alto rispetto al resto d'italia (con molti casi di tumore in bambini a partire dai 13 anni), latte materno alla diossina, malattie respiratorie e dell'apparato digerente.
Purtroppo però il problema è complesso, ed il progetto di referendum per la chiusura totale o parziale degli impianti, che alcune associazioni cittadine portano avanti ormai da anni, si trova inevitabilmente a scontrarsi con una realtà che ormai è radicata nel territorio tarantino e che dà lavoro a decine di migliaia di persone. Confindustria, dal canto suo, non fa che peggiorare la situazione, polarizzando le posizioni e mettendo in definitiva chi lotta per vivere in una città pulita contro chi lotta per lavorare (e mangiare). In definitiva, per creare problemi ai pro-referendum, media e istituzioni stanno creando un vero scontro fra chi non vuole morire di fame e chi non vuole morire di cancro.
Magra consolazione è stata l'inaugurazione in luglio di alcuni impianti che dovrebbero ridurre (nel giro di qualche anno) del 50% le emissioni di diossina, anche se ad oggi molti di questi impianti restano solo promesse fatte a voce ed in qualche caso sulla carta. Si tratterebbe in ogni caso di misure volte a contrastare le emissioni sotto forma di fumi, e non le decine di altri problemi, ben più gravi, che la presenza di questi impianti porta all'ambiente ed in particolare al mare tarantino. Ma bastano pochi minuti di pazienza difronte a questi video per capire di cosa si tratta. Ci tengo a sottolineare che ciò che vedete succede difronte al più grande allevamento di cozze nere d'Italia, dal quale si approvvigionano almeno il 70% dei rivenditori nazionali. I video sono stati girati negli anni 90 dagli attivisti dell'associazione Caretta Caretta, obbligata a chiudere i battenti dopo le decine di minacce ed intimidazioni ricevute.







Attualmente la situazione è purtroppo questa: oltre alla diossina, è stata palesata dagli ambientalisti di Peacelink la possibilità che a Taranto, come e più rispetto a Gela, le industrie ed in particolare l'ILVA scarichino nell'ambiente pericolosi veleni e metalli pesanti (arsenico, piombo, mercurio) in grandi quantità, e che questi siano anzi già entrati nella catena alimentare con grave rischio per la salute umana.
Per quanto riguarda il controllo della diossina, è inutile dire che sono stati già riscontrati gravi ritardi nell'applicazione della legge regionale del 2008.
Insomma, la guerra tra chi non vuole morire di fame e chi non vuole morire di tumore è destinata a durare. Per ora a rimetterci sono entrambe le categorie, con l'inquinamento che soprattutto d'estate raggiunge livelli visibili ed insopportabili. Speriamo bene.

Giovanni Semeraro

lunedì 19 ottobre 2009

Brunetta sta con Mesiano, ma nessuno sta con lui


E' da qualche giorno ormai che il ministro Brunetta sembra rincorrere cronisti e giornalisti per rivendicare - senza che nessuno tra l'altro glielo abbia espressamente chiesto - il fatto (per lui obiettivamente un grande pregio) di essere "dalla parte di Mesiano". Sì, che noi ci crediamo o no, Brunetta prende le distanze dalla TV del Boss e si schiera dalla parte del povero giudice la cui vita privata è stata ultimamente calpestata da una squallida puntata di Mattino 5 che resterà negli annali della disinformazione italiana. Salvo poi mettere le mani avanti, ed aggiungere che «Io non ne ho ricevuta quando mi è successa la stessa cosa, con l'unica colpa di aver acquistato case con il mutuo».
Ora, ammesso che possa essere equiparata la pubblicazione di una foto della casa di Brunetta al pedinamento video, durante due giornate, di un funzionario dello stato nella sua vita privata, io mi chiedo che bisogno aveva Brunetta di rivendicare il "torto ricevuto" proprio mentre compiva l'onorevole (ed inconsueto per un personaggio come lui) gesto di mostrarsi solidale al giudice che ha condannato Berlusconi? Il fatto è che, oltre all'inevitabile caduta di stile (è troppo facile offrire la propria solidarietà pubblica a qualcuno, sfruttando il guadagno d'immagine per rivendicare i presupposti torti subiti), ci troviamo qui di fronte ad un tentativo, alquanto ingenuo, alquanto maldestro, di paragonare l'indecente servizio di Mattino 5 - che tenta attraverso un mix di immagini ed audio di rappresentare come "anormale" e "stravagante" il normalissimo train de vie del giudice che ha condannato, a nome del popolo italiano, Berlusconi - ad un'inchiesta dell'Espresso mirata a smascherare alcuni "abusi"
ai danni dello stato perpetrati dal ministro Brunetta per puri fini personali.
Se, per quanto riguarda il giudice Misiano, non è riscontrabile nell'anonimo servizio di Mattino 5 alcun tentativo di inchiesta, alcuna ipotesi valida a delegittimare il lavoro del giudice, che ha come unico torto quello di aver agito, per nome della legge ed in favore del popolo italiano, contro Berlusconi, notiamo come invece l'inchiesta dell'espresso indichi date, luoghi, nomi, cognomi, riproduca testimonianze, mappe, documenti originali, il tutto col fine di dimostrare che il ministro ha approfittato della sua influenza e del potere conferitogli dalla propria carica, per chiudere alcuni grandi affari che sarebbero stati impossibili da compiere per un cittadino qualunque, seppur "agiato" economicamente.
Emblematico è il caso della casa a Roma, acquistata dall'Inpdai ad un quinto del suo valore. O quello della lussuosa villa in costiera amalfitana, acquistata come rudere con terreno a 65.000€, quando ogni altro rudere dello stesso tipo in quella zona panoramica di euro ne costava almeno 400.000. E che dire delle parole della vecchia proprietaria di quel rudere, che dice all'Espresso che non avrebbe mai venduto la sua casa se il comune si fosse deciso, prima dell'arrivo di Brunetta, a farle passare vicino una strada? Strada che è stata iniziata dal comune subito dopo l'arrivo del ministro in costiera?
Insomma, un paragone insostenibile, da parte del ministro che chiede solidarietà ma che non perde occasione per sparare a zero contro le più disparate categorie di lavoratori italiani, dagli artisti, alle élite di sinistra, agli impiegati, e per di più malati.
Ancora un'occasione persa da parte di Brunetta, per dimostrarci il suo impegno in favore dell'efficienza e della giustizia. A noi sarebbe bastato un silenzio.


Giovanni Semeraro

domenica 11 ottobre 2009

Per un'arte rivoluzionaria?

A cosa serve l’arte?
E’ una domanda che forse non ci poniamo molto spesso, troppo concentrati nella fruizione dell’evento spettacolare, qualunque esso sia.
Ma dopo, una volta immagazzinati automaticamente tutti gli elementi necessari alla comprensione del fenomeno, cosa resta dentro di noi del messaggio che l’opera d’arte ha voluto trasmetterci?
Perché lo scambio fra artista e spettatore avvenga, almeno due condizioni si rendono necessarie:
1- Che l’artista, consapevolmente o inconsapevolmente, abbia un messaggio forte da inviare che non sia necessariamente tematico, ma anche solo stilistico, dal quale in ogni modo scaturiscano impulsi comunicativi.
2- Che il fruitore, dal suo canto, abbia le basi culturali per comprendere determinati aspetti dell’opera d’arte o che più semplicemente abbia maturato una sensibilità estetica tale da poterne beneficiare in modo personale.
Se uno dei due elementi viene a mancare, quello che si instaura nella relazione artista-spettatore è un rapporto di puro consumo che riversa il tutto in una sfera propriamente commerciale.

Come valutare allora la situazione italiana alla luce delle recenti dichiarazioni del “Ministro Brunetta” sulla gente che in Italia produce cultura e dell’atteggiamento che più in generale contraddistingue la politica italiana nei confronti del settore in questione? E’ risaputo che in ogni forma di governo di stampo dittatoriale, le prime avvisaglie di un tentativo di controllo diretto sulla popolazione si avvertono, tra l’altro, per mezzo di un intervento massiccio sulle due forme di comunicazione che per eccellenza riescono a raggiungere l’interlocutore in modo forte, diretto, tempestivo: i mass media e le forme di espressione artistica.
Ora, non serve che il primo arrivato faccia notare a tutti come, per quanto riguarda la questione dei mass media, la situazione sia giunta ormai ad un livello allarmante.
Prima d’ora infatti credo che nessun governo al mondo abbia potuto disporre della stessa quantità di mezzi di comunicazione di massa di cui l’attuale governo italiano dispone. Immaginiamo solo per un attimo cosa avrebbero potuto fare personaggi come Hitler o Mussolini se avessero disposto degli stessi mezzi di cui Berlusconi può servirsi oggi in tutta libertà. Abbiamo avuto modo di constatarlo recentemente con gli ultimi avvenimenti riguardanti Bruno Vespa e il suo Porta a Porta, lo spostamento di programmi di informazione sociale come Ballarò e la vicenda dei contratti per la trasmissione di Santoro, per non parlare ovviamente degli abusi di potere di Brunetta che utilizza i siti governativi come se fossero la lavagnetta del cesso di casa sua.
Per quanto riguarda l’arte invece, la questione è a mio parere molto più delicata. Non parlerò di questioni specificamente tecniche non essendo un esperto del settore ma mi limiterò ad esprimere opinioni derivanti da un’osservazione del fenomeno in generale.
Innanzitutto potremmo constatare come in Italia qualsiasi forma di espressione artistica sia immediatamente associata al mondo della sinistra intellettuale e non solo da parte dei diretti oppositori politici ma anche nella concezione della gente comune. Tale situazione contribuisce pesantemente a dissuadere di fatto l’avvicinamento di una parte della popolazione al mondo dell’arte.
In secondo luogo potremmo osservare come lo statuto di artista in Italia non sia sufficientemente riconosciuto, a meno che non si tratti di personaggi già molto noti al pubblico tramite la televisione o il grande teatro o in generale le grandi scene nazionali e internazionali.
Tutti sembrano aver dimenticato l’insegnamento dell’arte popolare, delle arti povere, degli artigiani, dei cantastorie, delle orchestrine, delle bande, dei guitti girovaghi, degli attori presi direttamente dalla strada, insomma di buona parte della storia del nostro paese che al ministro Brunetta e a buona parte della popolazione sembra sfuggire. L’artista viene spesso considerato un fannullone se non un barbone nel peggiore dei casi poiché si avverte una carenza di educazione al lavoro dell’artista, problema che può trovare una soluzione nell’incentivazione dei laboratori nelle scuole di ogni livello. Solo cimentandosi in attività artistiche di ogni tipo i bambini e i ragazzi possono prendere coscienza fin da subito del lavoro che comporta la creazione di uno spettacolo o la preparazione di un concerto e alimentare così una forma di rispetto per l’attività artistica.
Terza ed ultima questione: mancano il luoghi materiali in cui produrre arte, mancano le strutture necessarie al suo sviluppo, mancano i circuiti adatti alla fruizione da parte di un pubblico culturalmente e anagraficamente eterogeneo. In parole povere, manca tutto il necessario allo sviluppo di una sensibilità estetica diffusa, cosicché il poco che viene offerto non é, nella maggior parte dei casi, recepito come espressione artistica bensì come mero intrattenimento, al pari appunto di una trasmissione televisiva di varietà.
I bambini non hanno modo di avvicinarsi alle forme di espressione artistica se non tramite il mezzo passivo della televisione, con tutte le conseguenze che ne scaturiscono e che non stiamo qui ad elencare.
In parole povere, la perdita progressiva di un bagaglio artistico legato al territorio, l’appiattimento culturale, la morte dell’arte.
Quanti luoghi di proprietà comunale o statale restano chiusi e inutilizzati quando invece potrebbero prestarsi benissimo all’incentivazione di attività associative autogestite che sempre più spesso trovano difficoltà a trovare spazi adatti all’interno del tessuto urbano?

Ovviamente la colpa di tutto questo non è imputabile esclusivamente all’azione dell’ultimo governo; le responsabilità rimontano a molto tempo addietro. Ad oggi infatti nessuno sembra essersi preoccupato di tutelare la figura dell’artista in maniera attiva, incentivando lo sviluppo di enti autonomi (e soprattutto competenti) che si occupino di coordinare il settore proficuamente e senza sprechi di risorse. Lo stato si è sempre limitato invece a sovvenzionare passivamente settori come il cinema o il teatro - che avrebbero richiesto al contrario grande professionalità e competenza - tenendoli legati ad una flebo per decine di anni ad uno stadio larvale, riducendoli infine a malati terminali.
La situazione che scaturisce da queste osservazioni è sotto gli occhi di tutti: in Italia l’arte sembra essersi distaccata completamente da quel ruolo che fino a qualche tempo fa ha rivestito con cognizione di causa:
il cinema impegnato si è estinto progressivamente lasciando il posto a fiction televisive populiste e patriottiche, bigottamente religiose e a volte semi-pornografiche.
I cantautori che in passato si erano rivolti alle nuove generazioni in modo attivo, veicolando spesso messaggi sociali importanti, si sono docilmente adeguati alle leggi del nuovo mercato o sono completamente scomparsi con la crisi del disco lasciando il posto a bizzarri emuli svuotati di contenuti.

In termini pratici, si sta creando una situazione anomala all'interno della quale da una parte nessuno ha più voglia di dire davvero qualcosa e dall'altra nessuno ha più voglia di recepirla veramente.

L’attacco che il governo Berlusconi ha sferrato al mondo artistico nell’ultimo periodo non è altro dunque che il colpo di grazia ad una bestia già abbattuta e rantolante, un modo per sotterrare definitivamente l’ultimo probabile nemico, quella forza sovversiva che l’arte naturalmente racchiude in se, quella capacità di far riflettere creandosi ragionamenti autonomi che tanto spaventa il capo del nostro attuale governo.
L’arte è espressione popolare per eccellenza, ed il fatto che nell’ultimo periodo trovi sempre meno consenso a favore di altre forme d’intrattenimento passive e qualitativamente scadenti la dice lunga sulla stato di salute della nostra capacità critica ed estetica.

Si dice che l’arte è rivoluzionaria. Si dice che è dai momenti di crisi che scaturiscono le correnti artistiche più interessanti.
Quanto ancora dovremo aspettare?

Francesco Semeraro

giovedì 8 ottobre 2009

Ho paura



Sono un uomo. Abbastanza forte. Abbastanza onesto. Abbastanza ragionevole. Abbastanza coraggioso. Ma ho paura.
A farmi venire paura (tanta) non il lupo mannaro. Non un mostro sbucatomi dal cesso mentre ero, come dire, più indifeso... Non la morte, non il dolore. Non una catastrofe planetaria. Ma questo



E soprattutto questo:



Prendetevi il tempo di riflettere ora, in silenzio, ad occhi chiusi.
Avete mai visto qualcosa del genere nella vostra vita? Vi ricordate di un presidente del consiglio che si abbassi ad offendere il vicepresidente della camera (Rosi Bindi) e ad urlare in televisione le proprie (bassissime e personalissime) ragioni, avendo invece il parlamento come luogo naturale della parola e della democrazia? Avete mai sentito suggerire, chiaramente, da parte di un primo ministro al capo dello stato, di aggirare, scavalcare la costituzione per influire "direttamente" e "personalmente" su una scelta così importante come quella dei giudici costituzionali. Che riguardava una legge così importante, capace di spostare una democrazia verso una oligarchia, o peggio, una dittatura?
Ebbene no. Io in trent'anni non l'ho mai visto. E non l'hanno mai visto neanche i miei genitori, perchè nel '45 Mussolini era già morto.
Un attacco così duro alle istituzioni (nelle persone del presidente della repubblica, della corte costituzionale, della magistratura, del parlamento) se lo sognano i paesi realmente democratici.
Un attacco così duro alla libertà, alla morale, se lo sognano i popoli liberi.

Ed io ho paura

Perchè come dice De Gregori "la storia siamo noi". Ma il brutto è che nessuno se ne accorge "durante". La storia diventa storia solo dopo. E la storia ci insegna che sia il nazismo che il fascismo che tutti gli altri regimi dittatoriali nascono un po' così. Per caso.
Magari con un presidente che, forte solo dell'appoggio popolare (populismo) si crede di poter scavalcare le regole e le istituzioni che un paese si è dato per autogarantirsi la DEMOCRAZIA.
Magari con un presidente che comincia arricchendosi, con l'appoggio della mafia, evadendo tasse e processi. E che poi passa in politica per evitare problemi con la legge. E che poi comincia a dire d'essere perseguitato, per mettere i suoi elettori contro chi lo perseguita (le istituzioni, accusate d'essere tutte comuniste e di sinistra). E che poi, comincia a gridarlo in televisione, insultando dei parlamentari e pretendendo un comportamento mafioso perfino dal capo dello stato.

Ho paura

Ho paura che il mio prossimo rientro in Italia possa coincidere con un stagione dura per la democrazia. Perchè i giovani che si sono trovati in guerra nel '39 non si aspettavano certo che da un giorno all'altro sarebbero andati a morire al fronte. Perchè i giovani che hanno resistito non si aspettavano certo che da un giorno all'altro avrebbero fatto la guerra contro gente come loro. Italiani contro Italiani. Contro i propri vicini di casa. Contro i propri ex-amici. A volte, contro i propri parenti!

Perdonatemi, ma non accetterò più che qualcuno mi dica di essere berlusconiano. Stia lontano da me. Amici o parenti o sconosciuti. Non lo ammetto. Io la mia piccola resistenza comincio a farla. In casa mia.

Per paura.


Giovanni Semeraro

mercoledì 7 ottobre 2009

Sono malato: c'ho il certificato! ovvero sulle assenze del PD in parlamento...


"Sono stata insultata, la mia sedia a rotelle presa a calci in piazza Venezia da alcuni scalmanati che mi hanno preso di mira per l'assenza di venerdì. Ma io stavo male, avevo presentato il certificato, che a questo punto chiedo che venga reso pubblico"
Ileana Argentin, deputato pd, costretta sulla sedia a rotelle.

Sono un bel ventaglio, una rosa, una marea le considerazioni che si potrebbero fare su questa breve frase detta per giustificare qualcosa di MOLTO IMPORTANTE. E cioè l'approvazione di una legge che gli elettori del pd NON VOLEVANO. E che invece è passata, grazie all'assenza di questo e di un'altra buona cinquantina di deputati del PD.

Io mi limiterò a farne solo qualcuna, semplice semplice.

1) Prima di tutto, scopro che oltre i fascisti anche i sinistroidi pduisti, ah scusate PDisti, se la fanno a piazza Venezia.

2) Che gli unici 4 elettori e sostenitori del PD rimasti al mondo, tra un po' voteranno Berlusconi, se continueranno ad essere appellati "scalmanati".

3) Che se per entrare a fare l'appuntato dei carabinieri bisogna essere in perfetto stato psico-fisico, avere i denti dritti, la schiena dritta, le gambe dritte, e pagare 30.000€ al corrotto di turno, per fare il DEPUTATO DELLO STATO ITALIANO basta solo l'ultima, visto che abbiamo scoperto che nessuno di loro gode di ottima salute.
E qui mi viene una piccola considerazione. Se è vero che in parlamento c'è rappresentata tutta l'Italia, e che il giorno della votazione sullo scudo fiscale mancavano, "per malattia", un centinaio di deputati fra destrorsi e sinistrorsi, e che la statistica è una scienza e non un'opinione, questo significa che il 16,666667 % degli italiani quel giorno non è andato al lavoro, causa malattia.
Se vosse vero l'Italia sarebbe in ginocchio.
A livello parlamentare, è vero, l'Italia è in ginocchio.
Morale. il parlamento NON RAPPRESENTA gli italiani.

4) Una considerazione un po' più seria. Ma perchè, chi è in una situazione psico-fisica non ottimale, e non può dunque adempiere in pieno ai doveri, PESANTI, che il popolo gli affida mandandolo in parlamento, deve ostinarsi ad occupare una poltrona che invece potrebbe essere occupata in modo più fruttifero da qualcuno in grado di lavorare, di partecipare attivamente e pienamente alla vita istituzionale? La malattia, lo sappiamo, è una brutta bestia, per tutti. Ma se uno non può lavorare, dovrebbe avere accesso ad altre forme di sostegno che non sia il parlamento italiano!!

5) "Sono malato! C'ho il certificato!" Ma noooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo.
Ma davveroooooooooooooo! Perchè c'è ancora qualcuno che crede nel certificato! Ma se per il più umile degli impiegati della più umile azienda è un gioco da ragazzi farsi fare un certificato taroccato (e lo sanno tutti!) come facciamo a credere nel certificato di un parlamentare, di un politico, di un deputato, sigh, dello stato italiano!

Mi viene da ridere, e per questo mi fermo qua. Perchè le considerazioni che vengono potrebbero essere offensive. E la malattia è una cosa seria. Lo sanno milioni di italiani costretti in ospedali FATISCENTI, senza supporto medico, economico, psicologico.
Figuriamoci se ci facciamo fare la morale da un parlamentere.

martedì 6 ottobre 2009

Insonnia costituzionale

Ci siamo. Oggi molto probabilmente i giudici della Corte Costituzionale dovrebbero fare il loro dovere. E cioè decidere che il "lodo Alfano" è incostituzionale. Dichiararlo ad alta voce. Gridarlo al mondo. Perchè la costituzione italiana è ormai l'unico straccetto che tiene ancora insieme uno stato, l'Italia appunto, che in realtà non esiste. Che non è mai esistito. Che non esisterà mai.
Lo sa Bossi, che non fa che ripeterlo ogni giorno da qualsiasi pulpito.
Lo sa Berlusconi, che vede il sud (a ragione) come un immenso serbatoio di ignoranti (cioè di voti). Di delinquenti (cioè di voti). Di morti di fame che sognano di essere come lui (cioè di voti).
Lo sa Franceschini. Al sud non lo conosce nessuno. Lui non è il proprietario del Milan è non ci ha regalato la De Filippi.
Insomma. Lo sanno tutti. L'Italia unita è una bella invenzione. Una bella scusa, oserei dire, per far passare come fisiologici una serie di soprusi perpetrati da sempre da una parte di essa (il Nord, i conquistatori) verso l'altra (il Sud, i conquistati). Perchè l'Italia è stato questo. La conquista e la sottomissione di uno stato, di un popolo, da parte di un altro stato, un altro popolo.
Ed ora siamo alla fase finale. Siamo addirittura alla libera interpretazione di un pezzo di carta, che per fortuna o per sfiga è l'unica cosa che ci giustifica in quanto Italia. In quanto italiani. In quanto popolo, cittadini. Siamo, cioè, alla frutta.
E' tardi, e dovrei dormire, ma non ho sonno.
Vorrei che qualcuno mi spieghi perchè, mentre in tutto il mondo si parla di crisi, di sviluppo, di energia alternativa, di pace e di guerra, di diritti umani, insomma, di cose serie, noi italiani dobbiamo stare ancora ad interrogarci se è giusto o meno che la legge sia uguale per tutti. Quando questo principio è (è chiaro) una delle colonne portanti della nostra costituzione. E' la base del nostro vivere civile.
I conti non tornano...proverò a rifarli.
Ma forse è meglio che mi metta a contare le pecorelle...