domenica 11 ottobre 2009

Per un'arte rivoluzionaria?

A cosa serve l’arte?
E’ una domanda che forse non ci poniamo molto spesso, troppo concentrati nella fruizione dell’evento spettacolare, qualunque esso sia.
Ma dopo, una volta immagazzinati automaticamente tutti gli elementi necessari alla comprensione del fenomeno, cosa resta dentro di noi del messaggio che l’opera d’arte ha voluto trasmetterci?
Perché lo scambio fra artista e spettatore avvenga, almeno due condizioni si rendono necessarie:
1- Che l’artista, consapevolmente o inconsapevolmente, abbia un messaggio forte da inviare che non sia necessariamente tematico, ma anche solo stilistico, dal quale in ogni modo scaturiscano impulsi comunicativi.
2- Che il fruitore, dal suo canto, abbia le basi culturali per comprendere determinati aspetti dell’opera d’arte o che più semplicemente abbia maturato una sensibilità estetica tale da poterne beneficiare in modo personale.
Se uno dei due elementi viene a mancare, quello che si instaura nella relazione artista-spettatore è un rapporto di puro consumo che riversa il tutto in una sfera propriamente commerciale.

Come valutare allora la situazione italiana alla luce delle recenti dichiarazioni del “Ministro Brunetta” sulla gente che in Italia produce cultura e dell’atteggiamento che più in generale contraddistingue la politica italiana nei confronti del settore in questione? E’ risaputo che in ogni forma di governo di stampo dittatoriale, le prime avvisaglie di un tentativo di controllo diretto sulla popolazione si avvertono, tra l’altro, per mezzo di un intervento massiccio sulle due forme di comunicazione che per eccellenza riescono a raggiungere l’interlocutore in modo forte, diretto, tempestivo: i mass media e le forme di espressione artistica.
Ora, non serve che il primo arrivato faccia notare a tutti come, per quanto riguarda la questione dei mass media, la situazione sia giunta ormai ad un livello allarmante.
Prima d’ora infatti credo che nessun governo al mondo abbia potuto disporre della stessa quantità di mezzi di comunicazione di massa di cui l’attuale governo italiano dispone. Immaginiamo solo per un attimo cosa avrebbero potuto fare personaggi come Hitler o Mussolini se avessero disposto degli stessi mezzi di cui Berlusconi può servirsi oggi in tutta libertà. Abbiamo avuto modo di constatarlo recentemente con gli ultimi avvenimenti riguardanti Bruno Vespa e il suo Porta a Porta, lo spostamento di programmi di informazione sociale come Ballarò e la vicenda dei contratti per la trasmissione di Santoro, per non parlare ovviamente degli abusi di potere di Brunetta che utilizza i siti governativi come se fossero la lavagnetta del cesso di casa sua.
Per quanto riguarda l’arte invece, la questione è a mio parere molto più delicata. Non parlerò di questioni specificamente tecniche non essendo un esperto del settore ma mi limiterò ad esprimere opinioni derivanti da un’osservazione del fenomeno in generale.
Innanzitutto potremmo constatare come in Italia qualsiasi forma di espressione artistica sia immediatamente associata al mondo della sinistra intellettuale e non solo da parte dei diretti oppositori politici ma anche nella concezione della gente comune. Tale situazione contribuisce pesantemente a dissuadere di fatto l’avvicinamento di una parte della popolazione al mondo dell’arte.
In secondo luogo potremmo osservare come lo statuto di artista in Italia non sia sufficientemente riconosciuto, a meno che non si tratti di personaggi già molto noti al pubblico tramite la televisione o il grande teatro o in generale le grandi scene nazionali e internazionali.
Tutti sembrano aver dimenticato l’insegnamento dell’arte popolare, delle arti povere, degli artigiani, dei cantastorie, delle orchestrine, delle bande, dei guitti girovaghi, degli attori presi direttamente dalla strada, insomma di buona parte della storia del nostro paese che al ministro Brunetta e a buona parte della popolazione sembra sfuggire. L’artista viene spesso considerato un fannullone se non un barbone nel peggiore dei casi poiché si avverte una carenza di educazione al lavoro dell’artista, problema che può trovare una soluzione nell’incentivazione dei laboratori nelle scuole di ogni livello. Solo cimentandosi in attività artistiche di ogni tipo i bambini e i ragazzi possono prendere coscienza fin da subito del lavoro che comporta la creazione di uno spettacolo o la preparazione di un concerto e alimentare così una forma di rispetto per l’attività artistica.
Terza ed ultima questione: mancano il luoghi materiali in cui produrre arte, mancano le strutture necessarie al suo sviluppo, mancano i circuiti adatti alla fruizione da parte di un pubblico culturalmente e anagraficamente eterogeneo. In parole povere, manca tutto il necessario allo sviluppo di una sensibilità estetica diffusa, cosicché il poco che viene offerto non é, nella maggior parte dei casi, recepito come espressione artistica bensì come mero intrattenimento, al pari appunto di una trasmissione televisiva di varietà.
I bambini non hanno modo di avvicinarsi alle forme di espressione artistica se non tramite il mezzo passivo della televisione, con tutte le conseguenze che ne scaturiscono e che non stiamo qui ad elencare.
In parole povere, la perdita progressiva di un bagaglio artistico legato al territorio, l’appiattimento culturale, la morte dell’arte.
Quanti luoghi di proprietà comunale o statale restano chiusi e inutilizzati quando invece potrebbero prestarsi benissimo all’incentivazione di attività associative autogestite che sempre più spesso trovano difficoltà a trovare spazi adatti all’interno del tessuto urbano?

Ovviamente la colpa di tutto questo non è imputabile esclusivamente all’azione dell’ultimo governo; le responsabilità rimontano a molto tempo addietro. Ad oggi infatti nessuno sembra essersi preoccupato di tutelare la figura dell’artista in maniera attiva, incentivando lo sviluppo di enti autonomi (e soprattutto competenti) che si occupino di coordinare il settore proficuamente e senza sprechi di risorse. Lo stato si è sempre limitato invece a sovvenzionare passivamente settori come il cinema o il teatro - che avrebbero richiesto al contrario grande professionalità e competenza - tenendoli legati ad una flebo per decine di anni ad uno stadio larvale, riducendoli infine a malati terminali.
La situazione che scaturisce da queste osservazioni è sotto gli occhi di tutti: in Italia l’arte sembra essersi distaccata completamente da quel ruolo che fino a qualche tempo fa ha rivestito con cognizione di causa:
il cinema impegnato si è estinto progressivamente lasciando il posto a fiction televisive populiste e patriottiche, bigottamente religiose e a volte semi-pornografiche.
I cantautori che in passato si erano rivolti alle nuove generazioni in modo attivo, veicolando spesso messaggi sociali importanti, si sono docilmente adeguati alle leggi del nuovo mercato o sono completamente scomparsi con la crisi del disco lasciando il posto a bizzarri emuli svuotati di contenuti.

In termini pratici, si sta creando una situazione anomala all'interno della quale da una parte nessuno ha più voglia di dire davvero qualcosa e dall'altra nessuno ha più voglia di recepirla veramente.

L’attacco che il governo Berlusconi ha sferrato al mondo artistico nell’ultimo periodo non è altro dunque che il colpo di grazia ad una bestia già abbattuta e rantolante, un modo per sotterrare definitivamente l’ultimo probabile nemico, quella forza sovversiva che l’arte naturalmente racchiude in se, quella capacità di far riflettere creandosi ragionamenti autonomi che tanto spaventa il capo del nostro attuale governo.
L’arte è espressione popolare per eccellenza, ed il fatto che nell’ultimo periodo trovi sempre meno consenso a favore di altre forme d’intrattenimento passive e qualitativamente scadenti la dice lunga sulla stato di salute della nostra capacità critica ed estetica.

Si dice che l’arte è rivoluzionaria. Si dice che è dai momenti di crisi che scaturiscono le correnti artistiche più interessanti.
Quanto ancora dovremo aspettare?

Francesco Semeraro

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