mercoledì 9 settembre 2009

Mi butto? Mi butto? L’autoumiliazione operaia


Operai che salgono sulle gru, minacciandosi di buttarsi di sotto. Telefonisti che si cospargono di benzina minacciando di darsi fuoco. Impiegati che si incatenano alle scrivanie, maestri in mutande, scioperi della fame. Aho! Ma ci siamo rincoglioniti tutti quanti? Viviamo in un sistema che ci umilia ormai quotidianamente, umiliando il nostro lavoro, la nostra istruzione, i nostri sogni, i nostri sacrifici, il nostro futuro, e qual è la nostra unica reazione? Quella di autoumiliarci, di autodereriorarci, di annichilirci, di prostrarci. La nostra reazione è un umiliazione alla seconda, anzi, all’ennesima potenza. E’ anzi peggio: la minaccia di un annientamento, in barba ai più banali principi laici e cristiani che vogliono la vita come il bene più prezioso che abbiamo, e l’onore come la cosa da salvaguardare di più, anche quando tutto il resto è stato perso. Questa assurda società mediatica, in cui conta solo la notizia ad effetto, la popolarità, ci spinge al grado zero dell’umanità pur di apparire, anche e soprattutto come vittime. Ma dico io: che fine hanno fatto gli insegnamenti che ci vengono dal passato, le esperienze dei nostri predecessori, che sono morti sì, ma lottando!, per ottenere il rispetto dei propri diritti. Ma dove sono gli scioperi ad oltranza? Dove sono i picchetti? Dove sono le manifestazioni di piazza? Dove cazzo sono tutti?

Lo so io dove sono tutti: davanti alla TV, a guardare Mai dire Gol, o il Grande Fratello. Sì, anche quelli che la mattina stavano in mutande davanti alla scuola. Anche quelli che si erano cosparsi di benzina poche ore prima. Perché l’importante è che la protesta curiosa, simpatica anche, originale, sia apparsa su qualche tv o qualche giornale, entrando perfettamente a far parte di quel circolo vizioso di cui, ormai, siamo tutti vittime.
Ci mettiamo in mutande, noi, ed ora manca solo che ci togliamo pure quelle, e ci pieghiamo a novanta gradi. Per che cosa poi? Per un posto di lavoro insoddisfacente, precario, temporaneo. L’importante è lavorare, portare i soldi a casa. A noi, dell’onore, che ce ne frega? Il lavoro ormai, cerchiamo di riconquistarcelo con la pietà, e non con la lotta. Dobbiamo far tenerezza, per salvarci. Sì, perché lo sanno tutti che sono tutte delle messe in scena, create ad oc, a regola d’arte televisiva. Lo sanno tutti che ci si cosparge di benzina ma che nessuno si sogna di darsi fuoco veramente. Che si sta sulla gru, ma l’idea di buttarsi giù non ci sfiora neanche. La pelle non la vuole rischiare nessuno. Ma che pelle! Non vogliamo rischiare nemmeno una denuncia, nemmeno una querela, nemmeno una richiesta di risarcimento danni! Per questo minacciamo di darci fuoco, invece di minacciare (come sarebbe più logico) di dare fuoco all’azienda che ci sta licenziando ingiustamente. Minacciamo di buttarci giù (tanto non lo facciamo), invece di minacciare di buttare giù il direttore generale che ha ordinato i licenziamenti. Ci mettiamo noi in mutande invece di catturare il ministro dell’istruzione e umiliarlo, lasciandolo in mutande, sulla pubblica via.
La televisione ci ha fatto male, ed il grasso è assai! Come diceva mio nonno: il grasso è arrivato alla testa! Di fame tanto qui non muore più nessuno, e tutti hanno la macchina nuova con il pieno parcheggiata sotto casa. Perché rischiare di perdere tutto ciò? Perché rischiare di andare in galera per salvare il proprio posto, il proprio onore, o un ideale? Il passato non ci ha insegnato proprio niente!
A solo neanche un secolo di distanza, abbiamo di nuovo un dittatore, di nuovo 20 staterelli in una piccola, inesistente nazione, siamo di nuovo emigranti, di nuovo schiavi. Di nuovo ignoranti.
E, ciò che è peggio, abbiamo perso la voglia di rischiare, di rifare, di lottare.

Un po' incazzato.

Giovanni Semeraro

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